Il caso
Il detenuto era stato ristretto presso le case circondariali di Pianosa, Palmi, Reggio Calabria, Carinola, Napoli Poggioreale e Larino, per un periodo di 4.571 giorni, ed aveva proposto ricorso per violazione dell’art. 35 ter OP, essendo stato lo spazio della cella in cui era stato ristretto inferiore a tre metri.
Il Magistrato di Sorveglianza aveva accolto il reclamo ma il Ministero della Giustizia lo aveva impugnato sull’assunto che errato sarebbe stato il criterio applicato.
In particolare, con riferimento alla casa circondariale di Carinola e Palmi, erroneamente, secondo la prospettazione del Ministero, il Giudice avrebbe scomputato gli arredi dalla superficie utile.
Il Tribunale di Sorveglianza, aveva però rigettato il gravame, ritenendo corrette le valutazioni del Magistrato di Sorveglianza.

Il ricorso per cassazione
Il Ministero della Giustizia proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 35 ss. L. O.P. ed eccependo, in particolare come secondo la stessa Corte EDU, GC, 20.10.2016, Mursic c. Croazia, per il calcolo dello spazio per ciascun detenuto ristretto in celle collettive occorre:
non tenere conto dei servizi igienici;
tenere conto dello spazio occupato dagli arredi.
Tali principi, sarebbero poi stati reiterati in successive sentenze della Corte EDU del 2017.
Contestava, per tali ragioni, l’orientamento assunto dalla Suprema Corte di Cassazione a partire dal 2016, secondo cui, invece, lo spazio minimo individuale nella cella collettiva è quello fruibile dal singolo detenuto ed idoneo al movimento.

L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite
La Prima Sezione penale, con ordinanza del 21 febbraio 2020, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, a causa della mancanza di uniformità sui criteri di calcolo dello spazio minimo necessario per scongiurare la violazione dell’art. 3 CEDU.
La Prima Sezione Penale, infatti, osservava come si registravano talune pronunce secondo cui, relativamente alla nozione di spazio disponibile, esso fosse da individuarsi nella “superficie materialmente calpestabile”, mentre altre l’avevano inteso come “superficie che assicuri il normale movimento in cella”
Quanto allo spazio occupato dagli arredi, talune sentenze operavano una distinzione tra gli arredi “fissi” ed altri facilmente rimovibili, che non devono essere calcolati.

Ulteriore contrasto si era poi registrato a proposito della superficie occupata dal letto: secondo un indirizzo dovrebbe essere sempre sottratta, mentre secondo la si dovrebbe sottrarre solo se avente la struttura “a castello”, incompatibile con la seduta eretta e quindi adatto solo al riposo. Un ulteriore indirizzo, poi, affermava che si dovesse prescindere dalla presenza di mobili e come, quindi, i tre metri fossero lordi e non netti.

Altro contrasto evidenziato nell’ordinanza di rimessione era quello relativo al contrasto insorto relativamente all’interpretazione dei “fattori compensativi”, enucleati dalla Corte EDU.
Secondo una pronuncia, infatti, essi rileverebbero solo se la superficie individuale è compresa tra i tre e i quattro metri quadrati, mentre secondo altro solo se è inferiore a tre metri quadrati, essa presuntivamente dovrà ritenersi non conforme all’articolo della Convenzione.
Secondo altre sentenze, invece, bisognerebbe attribuire efficacia ai criteri compensativi indipendentemente dalla superficie individuale disponibile.

La Soluzione
Le Sezioni Unite, muovendo dall’assunto in base al quale l’art. 35 ter OP aveva elevato a parametro normativo la giurisprudenza sovranazionale, chiarivano, in primo luogo, come non fosse condivisibile quell’orientamento in forza del quale l’interpretazione della norma fatta propria dalla giurisprudenza Cedu potesse essere derogata dal giudice nazionale per assicurare una migliore e più ampia tutela dei diritti del detenuto, avendo natura integrativa la giurisprudenza della CEDU rispetto alla norma di diritto interno.

Ora, al di là delle questioni teoriche, di indubbio interesse per il cultore della materia, un aspetto certamente più prosaico ma di indubbia rilevanza pratica è quello relativo alla definizione di spazio minimo vitale.
E così che le Sezioni Unite hanno affermato che “Nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento, e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello”.

Volendo esemplificare, pertanto, non si dovranno più contare sgabelli, tavoli o sedie, ma a questo punto anche letti che non siano a castello, mentre letti a castello armadi e mobili inamovibili dovranno essere sottratti dal calcolo.
Francamente la soluzione non convince del tutto.

Il riferimento, infatti, alla possibilità di spostare il letto per recuperare spazio calpestabile non può che lasciare perplessi. E’ difficile, infatti, immaginare che il detenuto ottenga il permesso di mettere il letto in corridoio per il tempo necessario a muoversi liberamente.

Quanto, invece, ai fattori compensativi, su cui pure era maturato un contrasto interpretativo, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto:
“I fattori compensativi costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se ricorrono congiuntamente, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati; nel caso di disponibilità di uno spazio individuale tra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi, unitamente ad altri di carattere negativo, concorrono alla valutazione unitaria delle condizioni di detenzione richiesta in relazione all’istanza presentata ai sensi dell’art. 35 ter ord. pen. “

In conclusione, pertanto, nessuna presunzione assoluta nel caso in cui lo spazio vitale sia inferiore ai tre metri.
Nei casi invece in cui lo spazio minimo sia tra i tre ed i quattro metri, assumeranno rilevanza anche i fattori di carattere negativo, oltre che a quelli compensativi, per una valutazione complessiva delle condizioni di trattamento penitenziario.

 

Sentenza