Cosa prevede il codice penale
L’art. 405 c.p. punisce con la reclusione fino a due anni “chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose”
Necessario è che la cerimonia si svolga in luogo pubblico ed aperto al pubblico e che sia officiata da un ministro di culto.
Il caso
In occasione della festa in onore di San Giovanni, L. G., “capo vara”, aveva fermato la processione due volte.
L’accusa era che in tal modo avesse ossequiato la famiglia di Totò Riina, con cui L.G. era imparentato.
La Difesa aveva sostenuto che, invece, si fosse trattato di soste “tecniche” per far riposare gli uomini che portavano in spalla la statua.
D’altronde, lo stesso ministro di culto aveva riferito come tutto si fosse svolto regolarmente.
Si aggiungeva come la moglie del boss non fosse presente e che nessun inchino vi fosse stato.
La sentenza della Corte di Cassazione
La terza sezione penale, con sentenza n°2242 depositata il 20 gennaio 2022, (Corte di Cassazione – Terza sezione) ha confermato la pena a sei mesi di reclusione inflitta nei precedenti gradi di giudizio.
La pronuncia è interessante perché dapprima ricostruisce il concetto di sentimento religioso – oggi da interpretarsi come corollario del diritto costituzionale della libertà di religione – per poi ricordare una serie di condotte che integrano, secondo la giurisprudenza di legittimità, il reato di turbatio sacrorum.
Ricorda infatti la Suprema Corte che integra la condotta di turbamento il collocamento dei tavolini in strada per imporre la sosta davanti ad un esercizio commerciale, ingiuriare le autorità presenti anche dopo la fine della celebrazione di un funerale, distogliere l’attenzione dei fedeli o denigrare il ministro di culto, gettare a terra l’ostia consacrata e calpestarla, generando trambusto tra i detenuti presenti alla celebrazione della messa in carcere,
Il turbamento avviene sempre quando una funzione religiosa viene strumentalizzata per fini contrari al sentimento religioso di chi vi prende parte
Così, secondo la Suprema Corte, logica e condivisibile l’affermazione della corte di appello di Palermo secondo cui il gesto di ossequio ad un esponente di spicco della criminalità mafiosa non ha fatto altro che strumentalizzare una processione religiosa a fini del tutto contrari al sentimento di coloro che vi partecipavano.
La mancanza di inchino, pertanto, non vale a privare di rilevanza penale il gesto, ma a renderlo solo meno grave, con conseguenze in punto di pena.
Considerazioni conclusive
Diversi gli episodi analoghi occorsi anche in Calabria, di cui però si sconosce se sfociati o meno in una sentenza penale.
Sentenze come quelle in commento svolgono anche una funzione general preventiva: l’ordinamento giuridico non è disposto a tollerare certe condotte e i “capi vara”, da oggi in poi, sono avvertiti.
Altro aspetto che, dal punto di vista culturale, suscita una riflessione, è il contributo dichiarativo di chi ha officiato la processione.
Spesso leggiamo infatti di comportamenti compiacenti di religiosi che tentano di salvare le “pecorelle” dalle maglie della giustizia penale.
Ciò dimostra, a sommesso avviso di chi scrive, che ci sono fenomeni così radicati che solo una sinergica azione culturale potrà finalmente debellare.